Meccanismo antidepressivo di
ketamina e scopolamina
LUDOVICA R.
POGGI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 03 luglio
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il
dibattuto impiego di ketamina e scopolamina quali farmaci nel
trattamento dei disturbi depressivi umani si giustifica sulla base della
possibilità che al loro effetto antidepressivo rapido e temporaneo segua un’azione
terapeutica di più lunga durata; ma le basi farmacodinamiche di tale effetto
protratto e clinicamente utile non sono note.
La ketamina,
inibitore non competitivo dei recettori NMDA post-sinaptici del glutammato, è
un anestetico correlato alla fenciclidina[1] (fenil-cicloesilpiperidina o
Sernylan), un farmaco di uso veterinario, impiegato per immobilizzare i primati
e per la cattura a scopo terapeutico di animali in parchi e riserve[2]. La ketamina è l’unico anestetico generale che causa
stimolazione cardiovascolare con aumento di frequenza e gittata cardiaca, nonché
aumento della pressione arteriosa e del flusso ematico cerebrale. Anche se la ketamina per il suo potere analgesico è
stata impiegata a lungo in passato in pediatria per interventi particolarmente
dolorosi nei bambini, come quelli sulla pianta del piede, è da considerarsi al
pari della fenciclidina, anche se con una potenza minore, una molecola psicodislettica
o, come suole dirsi con una terminologia di gergo non neuroscientifico, “allucinogena”.
La ketamina è, infatti,
un anestetico generale che induce uno stato simil-onirico caratterizzato da
profonda analgesia e amnesia dissociativa (anestesia dissociativa); in
anestesiologia è ritenuta un “anestetico incompleto” perché non è in grado di
portare il paziente al III stadio dell’anestesia.
Entrambe
le molecole, ketamina e fenciclidina[3], sono diventate tristemente famose nell’attualità
tossicologica perché impiegate da trafficanti e spacciatori come adulteranti o
per simulare gli effetti allucinogeni della dietilammide dell’acido lisergico (LSD),
la cosiddetta “droga degli hippies” degli anni Sessanta, tornata di moda più
volte nel tempo presso le fasce di popolazione giovanile a più stretto contatto
con realtà di degrado e ambienti criminali. Dell’uso illegale della ketamina,
definita “droga dello stupro” da spacciatori e loro clienti, si è detto recentemente
in Limiti e natura del patologico in condotte e crimini di Giovanna
Rezzoni[4].
Le proprietà
antidepressive della ketamina si studiano da molto tempo, e già 8 anni fa ho
proposto un approfondimento su questo argomento che più avanti, per comodità
del lettore, riporto integralmente[5].
La scopolamina
è un alcaloide estratto in passato dallo Hyoscyamus niger (ioscina) e
dalla Datura stramonium, e agente come inibitore reversibile dei recettori
muscarinici dell’acetilcolina (mAChR), determinando una serie di effetti anticolinergici
(riduce la motilità intestinale, blocca la chinetosi inibendo vertigini, nausea
e vomito, ecc.) adoperati in terapia, ma con possibili effetti collaterali (midriasi,
tachicardia, ecc.). Le dosi usate in terapia sono molto basse, perché i profili
farmacodinamico e farmacocinetico sono quelli di una sostanza con un basso range
tra minima dose efficace e minima dose tossica. A dosi elevate causa deliri,
allucinazioni, alterazioni della coscienza, stato stuporoso, coma e morte.
La
sperimentazione sull’uomo come antidepressivi di ketamina e scopolamina, note
per un’azione terapeutica effimera perché di brevissima durata, ha dimostrato
che le due molecole possono esercitare i loro effetti comportamentali non solo
nell’immediato, ma anche per alcuni giorni e, in qualche caso, fino a oltre una
settimana.
I
meccanismi molecolari che rendono possibile il protrarsi dell’azione
antidepressiva non sono noti, e sono stati indagati da Ji-Woon Kim e colleghi,
che hanno identificato un meccanismo comune dell’azione protratta per due molecole
così diverse farmacologicamente.
(Kim J-W., et al., Sustained
effects of rapidly acting antidepressants require BDNF-dependent MeCP2
phosphorylation. Nature Neuroscience – Epub ahead
of print doi: 10.1038/s41593-021-00868-8,
first published June 28, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neuroscience, The
University of Texsas Southwestern Medical Center, Dallas, TX (USA); Department
of Pharmacology, School of Medicine, Vanderbilt University, Nashville, TN (USA).
Prima della
sintesi dello studio di Ji-Woon Kim e colleghi, si propone qui di seguito,
in corpo minore l’articolo del 29 giugno 2013:
Discussione
critica sulla ketamina come antidepressivo
1. Introduzione.
La sperimentazione in qualità di antidepressivo dell’anestetico generale ketamina, impiegato come sostanza
psicotropa d’abuso nei rave parties,
negli Stati Uniti ha catturato una notevole attenzione mediatica che ha indotto
varie riviste di divulgazione scientifica ad occuparsi dell’argomento, con la
conseguenza della diffusione di alcune valutazioni, opinioni ed aspettative in
tutto il mondo. Aggiungendo che questo interesse sembra essere parte di un più
generale ritorno di attenzione per la conversione di sostanze di abuso (illicit drugs) in farmaci-medicamenti (therapeutic drugs)[6],
la nostra Società Scientifica ha riconosciuto l’opportunità di proporre in una
breve discussione alcuni dati di conoscenza, che si spera possano risultare
utili anche ai visitatori del sito non in possesso di una formazione specifica.
2. Le
ragioni e un profilo farmacologico. Per
decenni sono circolati aneddoti che narravano del beneficio ottenuto da persone
depresse che avevano assunto ketamina
in occasione di eventi di musica e danza, durante i quali veniva spacciata come
un equivalente dell’ecstasy. A queste tracce incerte si sono aggiunti alcuni report, nei quali si registrava un
miglioramento della sintomatologia depressiva in pazienti sottoposti ad
anestesia con questo farmaco. Nell’insieme, si disponeva di indizi che facevano
sperare nella possibilità di un effetto antidepressivo immediato, eventualmente
da adoperare nei pazienti ossessionati da idee di suicidio, per i quali i tempi
necessari al manifestarsi dell’effetto dei farmaci attualmente in uso, sono
decisamente troppo lunghi.
Prima di esporre in breve e
discutere gli esiti dei principali studi, consideriamo una scheda farmacologica
della molecola.
La ketamina, che chimicamente è il
2-clorofenil-2-metilaminocicloesanone, fu sintetizzata negli anni Sessanta a
partire dalla struttura della fenciclidina
(fenil-cicloesilpiperidina o Sernylan), un anestetico di uso veterinario,
impiegato per immobilizzare i primati e per la cattura a scopo terapeutico di
animali in parchi e riserve[7].
La somministrazione è endovenosa ed intramuscolare. La ketamina, come il protossido di
azoto, rispetto al quale può produrre effetti lievemente più profondi, è
considerata un anestetico incompleto perché non è in grado di portare il
paziente al III stadio; il suo uso è in gran parte giustificato dalle sue proprietà
analgesiche, che la rendono efficace negli interventi e nelle procedure
diagnostiche dolorose di breve durata, quali interventi chirurgici sulla pianta
del piede in età pediatrica, o esami cistoscopici. L’azione farmacologica si
accompagna ad un’amnesia che ricorda
quella psicogena dissociativa (anestesia
dissociativa).
Dopo circa un minuto dalla
somministrazione in dose anestetica, si ha una fase di trance: gli occhi rimangono aperti ma il paziente non risponde più
agli stimoli sensoriali. Subito dopo inizia l’azione anestetica vera e propria,
caratterizzata da uno stato simil-onirico e da profonda analgesia, con effetti
utili della durata di 5-10 minuti nella somministrazione endovenosa e 10-20 in
quella intramuscolare. La respirazione non è depressa, se non a dosi molto
elevate, e si produce per effetto di attivazione ortosimpatica una stimolazione
cardiovascolare: è il solo anestetico generale per via endovenosa in grado di
produrre un rilevante aumento della pressione arteriosa, della frequenza e
della gittata cardiaca. Il termine dell’azione con una ripresa completa si
verifica molto tardivamente.
L’assunzione spontanea come sostanza
di abuso produce, in dipendenza della dose, effetti che vanno da esperienze di
alterazione del corpo, del tempo e dello spazio, fino ad allucinazioni (effetto psicodislettico o allucinogeno)
e disgregazione del sé (effetto
psicosomimetico). Da rilevare che una dose elevata, assunta a scopo
allucinogeno, determina in molti casi una reazione da intossicazione acuta estremamente
spiacevole (iperattivazione del simpatico, vomito, ecc.).
3. Risultati
degli studi e discussione. Il
primo studio controllato per verificare l’efficacia antidepressiva è stato
condotto nel 2006 da Carlos A. Zarate Jr e colleghi, presso il National
Institute of Mental Health (NIMH, USA). 17 pazienti affetti da sindromi
depressive gravi che, in media, avevano sperimentato sei diversi regimi
antidepressivi senza risultati, presentarono una risposta sorprendentemente
positiva alla somministrazione endovenosa dell’anestetico, posto a confronto
con una soluzione salina. La metà fece registrare una riduzione del 50% dei
sintomi entro due ore e, per la fine del primo giorno, il 71% aveva risposto
positivamente, con circa un terzo dei volontari virtualmente privo di sintomi.
Per alcuni la remissione durò almeno una settimana.
Nessuno studio controllato aveva
mai riportato risultati simili per nessun altro trattamento antidepressivo: ben
si comprende perché sia rimasto alto l’interesse in questi sette anni.
Il team di Carlos Zarate ha pubblicato un nuovo studio lo scorso anno:
in questo caso sono stati trattati pazienti affetti da disturbo bipolare
durante la fase depressiva. Dopo 40 minuti dalla somministrazione endovenosa,
il 79% dei pazienti ha manifestato un netto miglioramento che è durato circa
tre giorni.
Ma la realtà degli altri trials clinici non è positiva come
quella degli studi di Zarate. La verifica degli effetti positivi a distanza di
un giorno varia in un intervallo troppo esteso per essere affidabile nella sua
significatività: dal 25% all’85%. Ciò vuol dire che gruppi equivalenti di
pazienti possono presentare da un 75% di inefficacia ad un modesto ed
accettabile 15%.
Un problema è senza dubbio da
ascriversi alle componenti dell’effetto placebo-suggestione. Infatti, nella
sperimentazione con ketamina,
è quasi impossibile ottenere un perfetto doppio
cieco contro placebo inerte,
perché la dose efficace produce immediatamente effetti sulla coscienza,
avvertiti dai pazienti che si sentono come “drogati” o “ubriachi”, e in tal
modo sanno di aver assunto una sostanza che sta agendo sulla loro mente. Alcuni
affermano di aver sentito “la scossa che li ha momentaneamente guariti”. Per
aggirare questo ostacolo, lo psichiatra James Murrough del Mount Sinai Hospital
ha progettato degli studi in cui i pazienti del gruppo di controllo riceveranno
una sostanza che produce una reazione temporanea in grado di simulare gli
effetti della ketamina.
Ma in questo caso si introduce il problema del profilo farmacologico di questa
sostanza che, evidentemente, non è ancora conosciuto e sperimentato a
sufficienza per far sì che la molecola venga ritenuta inerte rispetto
all’azione antidepressiva.
La ketamina agisce sui sistemi neuronici che segnalano mediante glutammato - il neuromediatore
eccitatorio più impiegato nel cervello - ma non si sa in che modo tale
influenza determini un effetto antidepressivo. In molti pazienti affetti da
depressione cronica è stato rilevato un deficit di glutammato. Un innalzamento
dei livelli di questo neurotrasmettitore induce un aumento di risposta della
corteccia prefrontale agli stimoli emotivi e, correlativamente, una diminuzione
di attività dell’amigdala, normalmente iperattiva nei depressi, soprattutto se
ansiosi.
Naturalmente un breve innalzamento
del livello di glutammato non può, da solo, spiegare l’effetto antidepressivo,
ed è molto probabile che giochino un ruolo numerosi meccanismi molecolari, non
solo agenti su singoli neuroni, ma anche sulla regolazione delle reti che
mediano il tono dell’umore. Intanto, è noto che l’accumulo di glutammato si
verifica perché la ketamina
preclude il legame del trasmettitore ai recettori NMDA. Conseguentemente, si ha
una maggiore stimolazione degli altri recettori glutammatergici. È questo uno shift che si ritiene alla base di un
aumento delle sinapsi attive.
Glen Zehnder Brooks, un
anestesiologo di New York, recentemente ha aperto una clinica esclusivamente
dedicata alla somministrazione iniettiva di ketamina in pazienti depressi che siano in terapia con uno
psichiatra. Il problema fondamentale di questa scelta è che l’efficacia di una
singola somministrazione è di breve durata, pertanto si deve mettere in conto
la possibilità di iniezioni ripetute: in questo caso gli effetti collaterali
sembrano inevitabili.
I ricercatori che hanno studiato
tossicodipendenti da ketamina
e persone che ne hanno fatto un largo uso come “droga da rave party”, pur non sviluppando dipendenza, hanno rilevato una
serie di disturbi in forma più o meno grave: alterazioni della percezione,
deficit di memoria, compromissione delle abilità di apprendimento e casi di
gravi infiammazioni della vescica urinaria.
Al rischio di questi effetti
collaterali con dosi ripetute, si associa la breve temporaneità della scomparsa
dei sintomi depressivi, che fa pensare più ad un’azione di disturbo sui sistemi
neuronici della coscienza, che ad un vero e proprio effetto terapeutico.
Infatti, in un recente studio condotto da medici del Mount Sinai Hospital, dei
21 pazienti che avevano ricevuto 6 iniezioni di ketamina in 12 giorni, ben 17 hanno avuto una completa
ricaduta dopo un tempo medio di 18 giorni dall’ultima iniezione, mentre solo
per 4 pazienti gli effetti positivi hanno agito da innesco per una remissione
protratta per 83 giorni.
Si offrono questi elementi al
giudizio del lettore, e si spera che la ricerca fornisca presto risposte sui
meccanismi d’azione alla base degli effetti osservati[8].
Ritorniamo,
ora, ai contenuti dello studio qui recensito.
Ji-Woon
Kim e colleghi dimostrano che la fosforilazione della proteina MeCP2 (methyl-CpG
binding protein 2) in corrispondenza del residuo aminoacidico di serina 421
(Ser421) è essenziale per gli effetti sostenuti e non per quelli rapidi di ketamina
e scopolamina nei topi.
La
sperimentazione ha rivelato che pMeCP2 è, a valle del BDNF, un fattore critico
per lo sviluppo dell’azione che le due molecole svolgono contro i processi che
caratterizzano la fisiopatologia della depressione. Particolarmente
interessante la dimostrazione da parte degli autori dello studio che pMeCP2 è
richiesto per la regolazione a lungo termine della forza sinaptica dopo
la somministrazione di ketamina e scopolamina.
In sintesi,
lo studio ha accertato e dimostrato che pMeCP2 e l’associata plasticità
sinaptica sono dei determinanti essenziali degli effetti antidepressivi più
protratti di quelli effimeri, che si conoscono da tempo per ketamina e
scopolamina.
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Ludovica R. Poggi
BM&L-03 luglio 2021
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Nell’abuso, ketamina e
fenciclidina possono portare al coma. Si legge che solo raramente determinano la
morte; tuttavia, questa affermazione non è certa perché si basa sulla
percentuale limitata di casi di intossicazione di cui si è a conoscenza e per i
quali si dispone l’autopsia e l’esame tossicologico post-mortem. Siccome la
massima parte del consumo avviene in clandestinità perché illegale e perseguito
nella maggior parte degli stati del mondo, non si può sapere quante morti
avvengano per sovradosaggio, uso in combinazione con altre droghe o semplicemente
alle dosi che provocano gli effetti di alterazione cognitivo-percettiva della
coscienza per le quali vengono assunte.
[2] “Proiettili anestetici” esplosi
mediante uno speciale fucile. Già all’inizio degli anni Settanta era noto l’uso
illegale della fenciclidina come sostanza psicodislettica, per la sua capacità
di alterare la coscienza ed indurre stati allucinatori (cfr. Meyers, Jawetz e
Goldfien, Farmacologia Medica, p.
199, Piccin, Padova 1975). Attualmente la ketamina (con il nome commerciale di
Ketalar) ha il suo maggiore impiego come anestetico in medicina veterinaria, in
particolare negli interventi sui cavalli.
[3] Considerato il limitatissimo uso
veterinario della fenciclidina, non è quasi più prodotta dalle aziende
farmaceutiche, così che quasi tutta quella che circola è prodotta illegalmente
e spacciata con l’evocativo nome di “polvere d’angelo”.
[4] Note e Notizie 19-12-21
Limiti e natura del patologico in condotte e crimini.
[5] Note e Notizie 29-06-13
Discussione critica sulla ketamina come antidepressivo. La ketamina è stata
adoperata anche negli esperimenti condotti per determinare un parametro preciso
per la misura della coscienza nel cervello (Note e Notizie 13-01-18 Nuova
misura per rilevare la coscienza nel cervello).
[6] Si vedano, ad esempio: Erica
Rex, Calming a Turbolent Mind. Scientific
American Mind (May/June) 24 (2): 59-66, 2013 (articolo giornalistico
scritto da una redattrice del New York
Times sulle proprietà terapeutiche delle sostanze contenute nei funghi
allucinogeni del genere Psilocybe);
Simone Grimm & Milan Scheidegger, A Trip Out of Depression. Scientific American Mind (May/June) 24
(2): 67-71, 2013 (un articolo di rassegna scritto da uno psicologo e da un
medico in formazione).
[7] “Proiettili anestetici” esplosi
mediante uno speciale fucile. Già all’inizio degli anni Settanta era noto l’uso
illegale della fenciclidina come sostanza psicodislettica, per la sua capacità
di alterare la coscienza ed indurre stati allucinatori (cfr. Meyers, Jawetz e
Goldfien, Farmacologia Medica, p.
199, Piccin, Padova 1975). Attualmente la ketamina (con il nome commerciale di
Ketalar) ha il suo maggiore impiego come anestetico in medicina veterinaria, in
particolare negli interventi sui cavalli.
[8] Note e Notizie 29-06-13
Discussione critica sulla ketamina come antidepressivo.